CAPITOLO III - I LIMITI ALLA CRESCITA ECONOMICA ALLA LUCE DI ALCUNE ANALISI EMPIRICHE

6. Verso uno sviluppo "sostenibile"
L'idea, sempre piu' diffusa, che si debba tener conto delle limitazioni imposte dalla salvaguardia degli equilibri ecologici, senza rinunciare per questo all'obiettivo di soddisfare i bisogni dell'umanita' e, in particolare, quelli essenziali dei piu' poveri, ha portato ad elaborare il concetto di "sviluppo sostenibile". E' stato definito tale "uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la capacita' delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni".(115)
Se questo diventasse effettivamente l'obiettivo di coloro che governano le sorti del nostro pianeta, si porrebbe la necessita' di individuare strategie atte a sviluppare tecnologie produttive sempre piu' compatibili con l'ambiente.
Alcune innovazioni tecnologiche gia' in atto o in fase di sviluppo potrebbero incorporare positivamente questa esigenza, ma nulla ci garantisce che i meccanismi di mercato indirizzino il sistema produttivo in tal senso. Percio' il ruolo dell'operatore politico va ritenuto essenziale nell'orientare questo processo.
Non e' possibile, ovviamente, indicare con precisione tutto cio' che si dovrebbe fare per conciliare produzione e ambiente, non solo perche' il progresso potrebbe offrire nuove opportunita', specialmente ove la ricerca scien-tifica fosse indirizzata in tal senso, ma anche perche' i problemi sono di tale entita' e complessita' che nessuno puo' affermare a priori quali sarebbero le soluzioni piu' adeguate. Si cerchera' quindi di individuare alcune delle direzioni nelle quali si potrebbero affermare tecnologie compatibili con uno "sviluppo sostenibile".
Dall'analisi fin ora condotta sembra prioritario cercare di comprendere quali siano le concrete possibilita' di uno scenario a basso consumo di energia e di una transizione verso fonti rinnovabili e relativamente piu' pulite rispetto a quelle oggi prevalenti.
Per il prossimo futuro sia il "Rapporto Brundtlandt" della Commissione Mondiale per l'Ambiente e lo Sviluppo delle Nazioni Unite, che il Rapporto "State of the World" del Worldwatch Institute, individuano la necessita', per evi-tare notevoli danni ambientali, di diminuire i consumi energetici puntando soprattutto sull'aumento dell'efficienza.(116)
Entrambi sottolineano come l'incremento dei prezzi petro-liferi a partire dagli anni Settanta abbia comportato, nei paesi industrializzati con economie di mercato, una notevole diminuzione nella componente energetica della crescita in conseguenza di aumenti della sua efficienza, che tra il 1973 e il 1983 sono stati in media dell'1,7% annuo. Si veda a proposito la tabella 4, che mostra come i progressi variano notevolmente da paese a paese.

Tabella 4 - Intensita' energetica in alcune economie nazionali, 1973-1985

Paese   1973   1979   1983   1985   Variazione
1973-85
   MJ per dollaro del 1980 di PNL  
Australia   21,6   23,0   22,1   20,3   - 6
Canada   38,3   38,8   36,5   36,0   - 6
Germania Occ.   17,1   16,2   14,0   14,0   -18
Giappone   18,9   16,7   13,5   13,1   -31
Grecia (*)   17,1   18,5   18,9   19,8   +16
Italia   18,5   17,1   15,3   14,9   -19
Olanda   19,8   18,9   15,8   16,2   -18
Gran Bretagna   19,8   18,0   15,8   15,8   -20
Stati Uniti   35,6   32,9   28,8   27,5   -23
Turchia   28,4   24,2   25,7   25,2   -11

(*) L'intensita' energetica in Grecia e' salita in seguito alla svolta verso industrie ad alto impiego di energia come la lavorazione dei metalli.
Fonte: International Agency, Energy Conservation in IEA Countries, OCSE, Parigi 1987

Gli alti prezzi dell'energia hanno spronato tecnici, dirigenti e consumatori ad effettuare modifiche funzionali e a cominciare ad applicare il grande numero di tecnologie efficienti attualmente disponibili. Spesso i governi hanno favorito tale processo emanando normative e standard di efficienza per edifici, elettrodomestici e automobili, oppure concedendo crediti agevolati e sovvenzioni agli investimenti in dispositivi che consentano risparmi energetici.
Questo fenomeno non si e' riscontrato, se non in minima parte, nei paesi ad economia pianificata o in alcune nazioni in via di sviluppo, probabilmente per gli scarsi incentivi concorrenziali nei primi e per l'insufficienza di mezzi finanziari e tecnologici o per la presenza di politiche di sovvenzione dei consumi energetici nei secondi.
Tuttavia, come si afferma nel rapporto del Worldwatch Institute, anche nei paesi dove questo processo e' gia' in atto non si e' ancora iniziato ad attingere pienamente al potenziale tuttora disponibile e stanno uscendo sul mercato una gamma di tecnologie sempre piu' efficienti.
Si tratta quindi di individuare le migliori politiche, diverse a seconda delle situazioni economiche e sociali, per favorire in ogni paese l'avvio o la continuazione di tale adeguamento tecnologico, evitando che fenomeni economici contingenti, quali la recente diminuzione dei prezzi petroliferi, possano rallentarlo.
Secondo il Worldwatch Institute e' possibile arrivare a realizzare risparmi del 50% in ogni settore dell'economia, ma i principali ostacoli non sono di natura tecnica, quanto piuttosto di natura istituzionale. Per aumentare l'efficienza energetica occorrono notevoli capacita' di coordinamento tra tecnologie e politiche diverse. Non a caso i migliori risultati si sono registrati in economie di mercato altamente organizzate quali il Giappone o la Svezia.
I paesi industrializzati incidono in tale misura sul consumo globale di energia, che anche piccoli progressi in fatto di efficienza possono avere un impatto rilevante sulla conservazione delle riserve e sulla riduzione dell'inquinamento della biosfera.
Tuttavia questo non deve far dimenticare l'importanza che l'aumento dell'efficienza energetica potrebbe rivestire per i paesi in via di sviluppo: "sono i piu' poveri quelli quasi sempre condannati a usare l'energia e altre risorse con meno efficienza e produttivita'; ossia chi meno ha la possibilita' di permetterselo".(117)
In questi paesi, anche quando i tempi di recupero sono abbastanza brevi, il costo degli investimenti necessari agli adeguamenti tecnologici puo' risultare proibitivo per il piccolo imprenditore o per il consumatore povero. Si rendono percio' necessari interventi di sostegno quali contributi o prestiti agevolati.
Dovrebbero quindi essere avviati progetti di cooperazione internazionale finalizzati a ridurre la dipendenza energetica dei paesi in via di sviluppo.
Nelle economie occidentali l'energia viene utilizzata in parti quasi uguali dagli edifici, dall'industria e dai trasporti, mentre nelle economie pianificate e in numerosi paesi in via di sviluppo piu' della meta' viene assorbita dall'industria.
Per quello che riguarda gli edifici, nei paesi occidentali si registrano attualmente consumi energetici inferiori di circa il 25% rispetto a quelli del 1973. Questo e' dovuto essenzialmente alle notevoli migliorie apportate nell'isolamento termico di molti edifici esistenti.
Per quello che riguarda il futuro, oltre ad ampliare e incentivare questi interventi, sara' possibile con nuove tecnologie costruire edifici che utilizzano solo da un decimo a un terzo dell'energia necessaria alle strutture odierne.
Anche i consumi all'interno delle abitazioni, dovuti ad elettrodomestici ed illuminazione, possono essere ulteriormente diminuiti. Sono stati fatti a proposito dei confronti tra il consumo medio degli elettrodomestici in uso e quello dei modelli nuovi e piu' efficenti dimostrando che, seppur gli ultimi costano piu' cari al momento dell'acquisto, consentono poi in tempi brevi un recupero dell'investimento grazie ai notevoli risparmi energetici.(118)
Il settore dei trasporti e' quello che contribuisce in maggior misura ai consumi petroliferi incidendo per il 50-60% sul consumo totale di greggio e quindi si puo' considerare il principale responsabile dell'immissione nell'atmosfera di grandi quantita' di anidride carbonica.
"Il punto cruciale della disastrosa situazione in cui versano i trasporti dal punto di vista energetico sta tutto nell'eccessiva fiducia riposta nell'automobile, che ha portato a trascurare le ferrovie, a compiere tiepidi sforzi nel settore dei trasporti di massa e a non considerare affatto il problema energetico in sede di programmazione urbanistica."(119)
In questo settore e' innanzitutto prioritaria una politica urbanistica che progetti le citta' moderne in modo da non richiedere alle persone di compiere tragitti troppo lunghi. Anche nelle citta' storiche si puo' risparmiare energia riducendo la dipendenza dall'automobile. Questo significa promuovere politiche adeguate per incoraggiare l'uso dei mezzi pubblici o per razionalizzare l'uso dell'auto privata. Ove possibile non si devono trascurare neppure politiche per l'incentivazione di mezzi alternativi, quali ad esempio la bicicletta, o a favore del semplice uso delle proprie gambe, che possono contribuire anche ad una maggior salute e al miglioramento della qualita' della vita.
Comunque, soprattutto per quello che riguarda il trasporto viag-iatori (quello che piu' incide sul bilancio energetico del settore), ma anche per il trasporto merci, sembra che, se non sottoutilizzati, mezzi collettivi quali i treni e le navi presentino una maggiore efficienza energetica rispetto agli automezzi. Tra quest'ultimi infine, per il trasporto persone, l'autobus appare meno "energivoro" dell'automobile.(120)
Tuttavia, poiche' la conversione ad un sistema di trasporti piu' razionale richiedera' molto tempo, si deve puntare anche sulle possibilita' offerte dalla tecnologia per migliorare le prestazioni energetiche degli automezzi.
Dal 1973 l'efficienza media dei consumi delle nuove auto e' migliorata di almeno il 25% e nuovi risultati positivi si prevedono con l'impiego di leghe leggere, materiali plastici e ceramici per diminuirne il peso e con nuovi congegni microelettronici per sincronizzare il funzionamento del motore e della trasmissione.
In questo senso pero', poiche' l'attenzione dei consumatori si orienta su altri fattori quali l'affidabilita' e lo stile, piuttosto che sul risparmio energetico, sara' necessario che siano adottate politiche che impongano standard ai costruttori e incentivi agli acquirenti.
E' tuttavia l'industria il fronte sul quale si sono registrati i migliori risultati nell'efficienza energetica, da un verso a causa di modificazioni strutturali verso la produzione di materiali e prodotti caratterizzati da un piu' basso consumo energetico, e dall'altro per l'introduzione di attrezzature e processi assai piu' efficienti.
Bisogna sottolineare che si sono ottenuti in questo campo notevoli risultati anche in settori ad alta intensita' energetica come quelli della raffinazione petrolifera, della chimica, del cemento, dei metalli, della carta, del vetro e dell'argilla.
I progressi piu' significativi sono stati realizzati in Giappone dove la legge prevede che nelle imprese che consumano molta energia debbano essere nominati dei manager che si occupano del problema a tempo pieno.
Il settore industriale usa l'energia in modo assai vario, ma esistono tuttavia alcune tecnologie di largo impiego suscettibili di notevoli miglioramenti. Per esempio, l'applicazione di comandi elettronici di velocita' puo' ridurre fino al 50% il consumo energetico delle trasmissioni elettromeccaniche, usate ovunque nei processi industriali.
Un'altra opportunita' consiste nella "cogenerazione", termine con il quale si indica quel processo che combina produzione di calore ed elettricita'. In questo modo si riutilizza il calore residuo della produzione energetica destinandolo nuovamente ad uso industriale o civile.
La cogenerazione permette di innalzare l'efficienza energetica delle centrali, da meno del 40% delle centrali a condensazione totale, al 50-70% fino all'80-90%. Inoltre, poiche' si tratta spesso di impianti di piccole dimensioni, da 10 a 300 MW, ad essi fanno ricorso sia imprese industriali che commerciali.(121)
I sistemi cogenerativi possono fornire energia e calore a ristoranti, grandi magazzini, scuole, ospedali e quartieri.
Negli Stati Uniti questi impianti hanno registrato un vero e proprio "boom", in seguito al Public Utility Regulatory Policies Act, che nel 1978 ha consentito all'industria di vendere elettricita' alle aziende elettriche. Secondo le proiezioni di un'impresa del settore entro il 2000 il mercato statunitense della cogenerazione potrebbe superare quello dell'energia nucleare e raggiungere i 100.000 MW, vale a dire il 15% dell'offerta complessiva nazionale di energia elettrica.
Sembra, in definitiva, che ci sia ancora molto spazio per migliorare in questa direzione l'attuale sistema produttivo. E' interessante notare come oggi molti provvedimenti volti all'efficienza energetica consistono in piccoli interventi apparentemente inconsistenti ma che, se largamente diffusi, comportano invece nel loro complesso notevoli risparmi.
In futuro, probabilmente, altre opportunita' saranno offerte da nuove tecnologie. Le ricerche piu' avanzate in questo campo sono forse quelle rivolte a migliorare le caratteristiche di conduttivita' di alcuni polimeri (o metalli sintetici).
Questa tendenza che porta sempre piu' ad utilizzare, a parita' di produzione, una minore quantita' di materie prime, non e' comunque limitata al settore energetico. Come sottolinea il "Rapporto Brundtland" l'industria e' riuscita a diminuire il consumo di molte altre risorse.
Si pensi ad esempio al minor fabbisogno d'acqua nelle cartiere, nelle acciaierie e nell'industria chimica, ottenuto con l'adozione di tecnologie a ciclo chiuso.
Piu' in generale molti studi evidenziano come si stanno sviluppando tecnologie o materiali che consentono un'ottimizzazione nell'uso delle risorse (122): il controllo elettronico dei processi di produzione, nuovi materiali con prestazioni piu' elevate, recupero e riciclo degli scarti di produzione, ecc.
Varie indagini hanno messo in rilievo come stia avvenendo un costante allontanamento da prodotti e processi ad alta intensita' di materiali, tanto che qualcuno comincia a parlare addirittura di una crescente "dematerializzazione" delle economie piu' avanzate, non riferendosi solamente all'aumento relativo del settore terziario.(123)
"La prestigiosa rivista "Scientific American" ha pubblicato di recente un articolo dal titolo suggestivo: Beyond the Era of Materials (Oltre l'era dei materiali). Secondo gli autori, i paesi industrializzati starebbero attraversando una fase di transizione epocale, da uno sviluppo economico basato su di uno sfruttamento intensivo delle materie prime, a una crescita sempre piu' qualitativa e immateriale. Nei paesi dell'OCSE, infatti, il rapporto tra produzione di materie prime e PIL reale ha manifestato una tendenza costante alla diminuzione dall'inizio degli anni '70, ed e' andata via via decrescendo l'intensita' d'uso dei materiali."(124)
L'aumento dell'efficienza nell'uso dell'energia e dei materiali potrebbe essere accompagnato da un crescente sviluppo delle energie rinnovabili. Anche quest'ultime, in certe condizioni d'uso, possono comportare dei problemi di compatibilita' ambientale, tuttavia essi sembrano piu' modesti o facilmente evitabili rispetto a quelli derivanti dall'uso dei combustibili fossili o dei reattori nucleari.
Oggi le fonti di energia rinnovabile forniscono circa 2 TW/anno, cioe' il 21% dell'energia consumata in tutto il mondo, di cui il 15% proviene dalla biomassa e il 6% dall'idroelettrica.
Le biomasse sono materiali organici, derivanti diret-tamente o indirettamente dai processi fotosintetici delle piante: esse comprendono i residui della silvicoltura e della lavorazione del legno, i residui dei raccolti, quelli organici e delle lavorazioni agricole, e infine le coltivazioni ad alta resa.
Attualmente gran parte dell'energia fornita dalla biomassa deriva pero' dalla legna da ardere, che in molte zone non puo' piu' essere consideata come una fonte "rinnovabile", poiche' i ritmi di consumo hanno superato il rendimento sostenibile.
Oltre al grave problema della deforestazione, gia' visto in un precedente paragrafo, la scarsita' di legname comporta in molti paesi in via di sviluppo la combustione di letame o di residui agricoli, privando in certi casi il suolo delle necessarie sostanze nutritive.(125)
D'altra parte alcuni paesi del terzo mondo, in particolare africani, dipendono oggi in maniera quasi esclusiva dalla legna da ardere: non solo questo combustibile domina l'uso domestico di energia, ma fornisce anche piu' del 70% dell'energia impiegata per tutti gli altri scopi.
La FAO prevede che nel 2000 il numero di persone a cui manchera' la legna si avvicinera' ai 2,4 miliardi, piu' della meta' della popolazione prevista per i paesi in via di sviluppo.(126)
Il problema e' abbastanza complesso, perche va inquadrato in quello piu' generale dello sviluppo economico di questi paesi, comunque gli esperti indicano la necessita' di individuare una strategia per razionalizzare l'uso di questa risorsa.
E' possibile innanzitutto migliorare l'efficienza dei sistemi con cui la legna viene bruciata, impiegando per esempio forni e cucine piu' efficienti e, in secondo luogo, bisogna incrementare attivita' di silvicoltura e di riforestazione.
In definitiva il legno puo' costituire un'importante fonte di energia rinnovabile, a patto che venga sfruttato tenendo conto dei ritmi biologici di crescita o venga appositamente "coltivato".
D'altra parte molto puo' essere ottenuto anche dai residui della silvicoltura o della lavorazione del legno.
Non si deve neppure pensare che questa sia una risorsa tipica dei paesi in via di sviluppo, se e' vero che negli Stati Uniti il 10% del riscaldamento domestico funziona con tale combustibile.(127)
Una fonte importante di biomassa puo' essere costituita dai residui dei raccolti e dagli scarti animali.
Il potenziale energetico di tali rifiuti e' molto alto, specialmente se essi vengono sfruttati con moderni congegni di conversione come i gassificatori. Tuttavia bisogna considerare attentamente che l'utilizzo di tali sottoprodotti non ne comporti la diversione da funzioni di concimazione delle terre agricole.
Esistono comunque molti prodotti che verrebbero comunque scartati, oppure altri come le deiezioni animali che, dopo la produzione di biogas, possono essere riutilizzati quale concime.
I residui agricoli che gia' vengono impiegati a scopo energetico, ma il cui uso potrebbe essere realizzato su piu' ampia scala sono, per esempio, quelli della canna da zucchero, la lolla del riso, i gusci delle noci di cocco, gli steli e gli scarti della sgranatura del cotone, i gusci delle arachidi e di altri tipi di noci, i noccioli della frutta, le bucce del caffe' e di altri semi, paglia e fibre vegetali di varie altre fonti. (128)
L'impiego di terre incolte per coltivare piantagioni destinate ad uso energetico puo' essere un vantaggio per alcune aree, ma in altre potrebbe sottrarre cibo e terra alla gente affamata.
Altrettanto si potrebbe sostenere per l'utilizzo energetico delle sovrapproduzioni agricole.
Il Brasile e' riuscito, producendo alcool etilico da grandi piantagioni di canna da zucchero, a coprire quasi per la meta' i consumi nazionali di combustibile per autoveicoli. Tuttavia questo processo di produzione di etanolo, come sottolinea Enzo Tiezzi (129), si e' inserito nella realta' economica e sociale di questo paese con effetti non del tutto positivi.
Ai benefici derivanti dall'aumento dei posti di lavoro, si e' contrapposta pesantemente l'espropriazione dei piccoli e medi coltivatori, la sostituzione con la monocultura della canna da zucchero delle colture tradizionali di alimenti di sussistenza, una tendenza a preferire "mega-impianti" con grandi costi ambientali.
Questo autore suggerisce che, nel tener conto delle particolari situazioni di ogni paese, lo sfruttamento delle biomasse venga orientato verso l'installazione di impianti di piccola-media capacita', utilizzando prioritariamente le biomasse di scarto di processi agro-industriali o dei rifiuti urbani. In un secondo tempo si potrebbe valutare l'opportunita' se dedicare a scopi energetici una parte dei terreni agricoli o marginali.
Uno studio del Center for Biology of Natural System degli Stati Uniti ha dimostrato la possibilita' di modificare l'attuale sistema di rotazione di alcune colture destinate prevalentemente ad alimentazione animale, aumentando il contenuto di carbonio nella biomassa prodotta. In tal modo si potrebbe produrre etanolo, utilizzando in seguito i residui della distillazione per l'alimentazione del bestiame. Lo studio e lo sviluppo di tali diversi utilizzi della biomassa potrebbe, in definitiva, aumentare la convenienza economica dei progetti. (130)
L'energia idroelettrica contribuisce oggi gia' al 6% della produzione totale di energia. Si e' calcolato che fino al 1980 l'America del Nord e l'Europa hanno gia' sviluppato il 59% e il 36% dei rispettivi potenziali, mentre l'Asia ne ha aveva sfruttato solo il 9%, l'America Latina l'8% e l'Africa il 5%.(131)
Sembra quindi che questa fonte di energia abbia grandi possibilita' di espansione prevalentemente nelle nazioni in via di sviluppo.
In alcuni di questi paesi, come il Brasile e la Cina, sono state avviate o sono in progetto grandi dighe, con potenze produttive intorno ai 10.000 MW, cioe' l'equivalente di dieci grandi centrali nucleari. Anche se tali giganteschi impianti possono dare un notevole contributo allo sviluppo economico di questi paesi, tuttavia il loro impatto sull'ambiente e sulle popolazioni non e' sempre del tutto positivo.
"I bacini idrici inondano le foreste, i campi coltivabili e mutano l'habitat di flora e fauna sradicando intere comunita' di popolazione indigena. (...) Sbarrare un fiume causa un drammatico cambiamento dell'ecosistema circostante. I sedimenti che portano il nutrimento, anziche' depositarsi nei terreni alluvionali coltivati e fornire cibo per i pesci a valle, si accumulano dietro le turbine diminuendo la capienza dei bacini idrici. Le dighe idroelettriche possono inoltre modificare la temperatura e la concentrazione di ossigeno delle acque a valle, alterando la combinazione delle specie acquatiche e di quelle riparie."(132)
E' necessario quindi tener conto di questi problemi e dell'impatto ambientale di ogni progetto.
Specialmente nei paesi in via di sviluppo, ma anche in quelli industrializzati, si cominciano a scoprire i vantaggi della produzione idroelettrica su piccola scala, con impianti molto spesso non collegati alla rete centralizzata e destinati a fornire energia nelle zone rurali.
L'uso dell'energia solare, eolica e geotermica e' ancora abbastanza limitato, ma alcune esperienze positive fanno pensare a buone possibilita' di sviluppo.(133)
Per quello che riguarda l'energia solare, come ricorda Silvestrini: "Uno dei motivi della lentezza della penetra-zione delle tecnologie solari sta in molti casi nella timidezza con la quale i governi hanno incentivato queste fonti energetiche. (...) Quasi tutti i paesi inoltre negli ultimi hanni fortemente ridotto il proprio impulso in questa direzione. (...) Caso emblematico di questo sganciamento e' quello degli Stati Uniti dove con la presidenza Regan sono stati drasticamente tagliati i fondi per il risparmio energetico e per le fonti rinno-vabili".(134)
Nonostante queste difficolta' esistono comunque alcuni esempi positivi che dimostrano la possibilita' di espansione del solare anche in tempi ravvicinati.
Il riscaldamento dell'acqua con collettori solari e' gia' ampiamente diffuso in molte parti dell'Australia, della Grecia e del Medio Oriente.
In molti paesi industrializzati si sono inoltre sperimentate tecnologie per produrre alte temperature e quindi per rendere possibile la conversione in energia elettrica. Tra queste tecnologie la piu' studiata e' quella delle centrali solari a torre, composte da una serie di specchi orientati verso un ricevitore. I risultati dei diversi esperimenti sono contrastanti, ma comunque hanno permesso di effettuare notevoli miglioramenti. I maggiori successi nel campo del solare termodinamico sembra tuttavia che siano stati ottenuti con i cosidetti "concentratori lineari", realizzati dalla Luz Engineering, una societa' israeliana, che consentono di raggiungere temperature fino a 4OOoC e che possono essere utilizzati per produrre calore nei processi industriali. Il Worldwatch Institute sostiene che i costi capitali di tali impianti dal 1984 ad oggi si sono dimezzati e si possono equiparare a quelli delle piu' recenti centrali nucleari.
Un'altra nota tecnologia solare e' quella che sfrutta l'effetto fotovoltaico, cioe' quel fenomeno che consente la produzione di elettricita' quando la luce colpisce determinati materiali.
Dal 1976 ad oggi il costo delle celle fotovoltaiche si e' ridotto di otto volte ed esse vengono ormai applicate per molti usi, in particolare nell'industria delle telecomunicazioni o in zone non raggiunte dalle reti centralizzate, ove l'installazione puo' risultare conveniente dal punto di vista economico.
Quello delle utenze isolate e' probabilmente il settore in maggiore espansione; attualmente sono 15.000 le case alimentate nel mondo con energia solare e si prevede gia' per i prossimi cinque anni un grande sviluppo.
Dato che le tecnologie solari sono in costante miglioramento e' molto probabile che il loro contributo crescera' notevolmente.
Anche per quello che riguarda l'energia eolica alcune esperienze all'avanguardia, come quelle registrate in California e in Danimarca, hanno dimostrato le possibilita' di sviluppo di questa fonte energetica. La notevole diffusione di aerogeneratori che si e' avuta negli ultimi anni e' dovuta esclusivamente all'impiego di impianti di piccola e media taglia che, a differenza di quelli piu' grandi, hanno dimostrato di essere com-mercialmente gia' maturi. I costi negli ultimi cinque anni sono drasticamente diminuiti e probabilmente si ridurranno ulteriormente, quanto piu' si avviera' la produzione di turbine su larga scala.
Nell'espansione dell'eolico l'Asia e' probabilmente destinata a giocare un ruolo molto importante, dati i notevoli programmi dell'India e della Cina.
Anche l'energia geotermica e' oggi presente con circa 5000 MW di potenza installata in tutto il mondo, di cui piu' della meta' dal 1980 e si prevedono buone possibilita' di espansione. Negli soli Stati Uniti si e' stimato che per il 2000 la potenza installata potrebbe aggirarsi tra i 4.200 e i 18.700 MW.
Nel rapporto del Comitato consultivo per l'energia si afferma che, pur se e' difficile valutare il potenziale di sviluppo delle energie rinnovabili, una stima lo ha situato nel lungo termine a 10 TW globali, cioe' a un valore pari ai livelli del consumo energetico mondiale del 1980. Si sottolinea comunque come i progressi tecnologici potrebbero elevarlo ulteriormente.
Nel breve periodo lo sviluppo di queste energie sara' influenzato, piu' che dalla tecnologia, dalle politiche in grado di combattere certe restrizioni di natura economica, ambientale e istituzionale.(135)
Dall'analisi sul degrado ambientale del nostro pianeta, condotta nei paragrafi precedenti, risulta evidente che una strategia per uno sviluppo sostenibile dovrebbe comprendere, oltre che lo sviluppo di fonti energetiche piu' pulite, anche tutta una serie di provvedimenti per limitare ed eliminare gli inquinamenti derivanti dalla produzione industriale e agricola.
Per quello che riguarda l'inquinamento industriale, come si ricorda nel "Rapporto Brundtland", gia' a partire dagli anni Sessanta, la crescente consapevolezza e le preoccupazioni del pubblico hanno portato molti governi a prendere provvedimenti di protezione e conservazione ambientale, con l'imposizione di misure e regolamenti volti a ridurre le emissioni di sostanze inquinanti, talvolta con strumenti economici, quali tasse ed incentivi (136).
Questi provvedimenti hanno fatto registrare, in alcuni casi, un miglioramento delle qualita' ambientali, ma va sottolineato come non sempre i risultati siano del tutto soddisfacenti.
Si pensi per esempio ai gia' citati provvedimenti per eliminare, con alti camini, l'inquinamento locale di anidride solforosa, che hanno poi causato il noto fenomeno delle pioggie acide.
Un altro esempio puo' essere quello degli impianti di depurazione delle acque, certamente importanti, ma che risolvono il problema solo in parte, comportando poi la necessita' dello stoccaggio di rifiuti spesso notevolmente tossici.
Il noto ecologo statunitense Barry Commoner sostiene l'insufficienza di politiche ed interventi finalizzati semplicemente a limitare, in genere con sistemi di depurazione, l'inquinamento prodotto da tecnologie intrinsecamente inquinanti.(137) Egli sostiene quindi la necessita' di una strategia di prevenzione, che impone la revisione nei criteri di progettazione dei moderni strumenti di produzione.
L'analisi condotta da questo autore sugli effetti delle politiche ambientali negli USA nel decennio 1975-1985 dimostra infatti come si siano conseguiti risultati veramente aprezzabili, riducendo la diffusione di agenti inquinanti nell'aria, solo in quei casi ove si sia completamente abolita la produzione di determinate sostanze, come il piombo dalla benzina, i fosfati dai detersivi, il DDT e il Pcb.
Commoner ritiene che fissare dei limiti di legge all'emissione di certe sostanze tossiche puo' essere addirittura controproducente. Come spiegato nei precedenti paragrafi, poiche' il concetto di "soglia di rischio" e' molto discutibile, puo' essere abbastanza giustificata la sferzante critica di questo autore, il quale afferma che questi provvedimenti non comportano il miglioramento costante della qualita' dell'ambiente, ma invece l'accettazione sociale di un livello di rischio per la salute.
Con le leggi che impongono questi limiti, se tutto va bene, si assiste ad un adeguamento degli impianti produttivi, che si doteranno dei sistemi di controllo richiesti, ma come risultato finale si otterra' il "congelamento" del livello di inquinamento "accettabile". Le industrie avendo fatto infatti grandi investimenti, destinati solamente a raggiungere i limiti di legge, difficilmente saranno disposte a spendere per ulteriori miglioramenti.
Queste considerazioni di Commoner sono utili per capire la necessita' di politiche ambientali finalizzate soprattutto ad incentivare mutamenti tecnologici che conducano alla totale eliminazione delle sostanze inquinanti.
D'altra parte le stesse industrie potrebbero ottenere vantaggi economici da un tale orientamento produttivo. Come sottolinea il rapporto del Worldwatch Institute, che riporta alcuni esempi di tentativi riusciti, non producendo rifiuti esse potrebbero evitare tutti i costi e i rischi legati al loro trattamento. Per ottenere questi risultati occorre comunque un impegno creativo e continuativo, che coinvolga i quadri dirigenti in un nuovo modo di pensare e di valutare l'efficienza dell'impresa.
"Le strategie per la riduzione dei rifiuti sono notevolmente diverse dal trattamento degli scarichi a cui molte industrie sono abituate. Esse focalizzano l'attenzione sul processo stesso di produzione, prendendo in esame i punti di origine degli scarti e cercando il modo di ridurli."(138)
Questa riduzione puo' essere ottenuta anche adottando tecnologie produttive che favoriscano il riciclo e il riuso delle materie prime all'interno dello stesso processo produttivo, come per esempio si e' fatto con il cromo in alcune industrie conciarie.
Un'altra soluzione puo' essere quella di far degli stessi scarti di lavorazione una risorsa, basandosi sul principio che il rifiuto di un'industria puo' essere il materiale greggio per un'altra.
In Giappone, nell'America del Nord e nell'Europa Occidentale, come riporta ancora il rapporto del Worldwatch Institute, il mercato dei rifiuti e' riuscito in varia misura a promuovere il riciclaggio e la riutilizzazione dei rifiuti industriali.(139)
In altri casi ancora si puo' valutare di cambiare i processi di produzione, utilizzando materie prime diverse per rimpiazzare i prodotti pericolosi con dei sostituti piu' sicuri.
Anche nella produzione di beni alimentari potrebbe rivelarsi necessario ripensare e rivedere gli attuali sistemi di produzione. L'agricoltura moderna, come sottolineato nei paragrafi precedenti, ha raggiunto con successo l'obiettivo di produrre sempre piu' cibo, ma al prezzo di un progressivo avvelenamento degli ecosistemi, del suolo e degli alimenti stessi.
La consapevolezza di questi danni ha portato l'attenzione sulla necessita' di sviluppare metodi di coltivazione piu' compatibili con l'ambiente.
Per eliminare o ridurre il piu' possibile l'uso di pesticidi si sono recentemente affermate alcune tecniche quali la "lotta guidata", la "lotta integrata" e la "lotta biologica".
La "lotta guidata" non e' altro che il tentativo di "razionalizzare" l'uso dei mezzi artificiali chimici, in primo luogo utilizzando una maggiore conoscenza della dinamica delle popolazioni di organismi nocivi e operando un confronto tra la stima del danno economico da essi causato e il costo del trattamento, in secondo luogo con il perseguimento del minor impatto ambientale.
La "lotta integrata" comprende molte strategie finalizzate a ridurre l'impiego dei pesticidi, partendo dal principio che un terreno coltivato e' un ecosistema nel cui ambito interagiscono molte forze naturali in grado di agire contro gli organismi infestanti.(140) Essa utilizza sistemi di "lotta biologica", tecniche particolari di coltivazione (ad esempio piantagioni a zone), di manipolazione genetica (ad esempio la coltivazione di varieta' resistenti agli organismi dannosi), unitamente ad un impiego piu' equilibrato di prodotti chimici.
Tra le tecniche della "lotta biologica"(141) la piu' nota e' quella del rilascio in campi coltivati di insetti utili, cioe' predatori o parassiti degli insetti fitofagi. Una tecnica in via di riscoperta e' la lotta microbiologica, che consiste nello scatenare delle malattie tra le popolazioni di insetti nocivi tramite l'uso di "entomopatogeni". Di piu' recente acquisizione e' invece l'"autocidio", che prevede la sterilizzazione in laboratorio dei maschi, o dei maschi e delle femmine, di una popolazione dannosa di insetti e la loro reimissione nei campi, in modo che vadano ad incrociarsi con insetti fertili senza procreare. Infine si e' sviluppato il cosidetto metodo della "confusione sessuale", basato sul principio che gli insetti si incontrano per accoppiarsi grazie all'emissione di alcuni odori di richiamo, denominati feromoni. Producendoli artificialmente e immettendoli nell'ambiente si confondono gli insetti maschi, che cosi' non riescono piu' a localizzare le femmine, con un conseguente collasso demografico delle popolazioni.
Fino ad ora gran parte delle strategie di lotta integrata e biologica si sono rivolte agli insetti dannosi, permettendo cosi' di ridurre l'uso degli insetticidi. Tuttavia stanno assumendo un'importanza crescente anche i metodi di controllo non chimico delle piante infestanti, tramite l'impiego quali "erbicidi biologici" di funghi, batteri ed altri agenti patogeni.
Un'altra pratica che presenta interessanti prospettive e' quella di introdurre consociazioni tra diverse piante, sfruttando un fenomeno noto con il termine di "allelopatia", ossia l'inibizione di una pianta tramite il rilascio di tossine naturali da parte di un'altra. Per esempio la coltivazione di un legume tra le file di frumento mantiene sotto controllo le erbe infestanti e, inoltre, arricchisce il terreno di azoto. Un'altra tecnica consiste nell'uso di piantagioni di copertura in grado di inibire la germinazione o la crescita delle piante infestanti.
Il passaggio dalla lotta chimica alle tecniche piu' compatibili con l'ambiente necessita di un incremento di professionalita' nell'agricoltore, che dovra' inoltre, in alcuni casi, essere assistito da organi competenti.
Il rapporto del 1988 del Worldwatch Institute riporta i dati di alcune esperienze positive di lotta integrata e di lotta biologica svolte nei paesi in via di sviluppo e che hanno consentito riduzioni fino all'80-90% nell'uso degli insetticidi. Negli Stati Uniti dove nel 1984 erano in atto programmi di lotta integrata su un totale di 11 milioni di ettari, circa l'8% dell'area coltivata di quel paese, gli agricoltori hanno guadagnato complessivamente 597 milioni di dollari in piu' di quanto avrebbero ottenuto con altri metodi.(142)
In termini economici queste tecniche si sono quindi dimostrate in alcuni casi gia' competitive, e potrebbero diventarlo ancor di piu' con la messa fuori legge dei pesticidi meno cari ma piu' dannosi. D'altra parte, se si considerano tutte le "esternalita'" provocate dai pesticidi, e quindi i costi sociali di questo genere di produzione, si puo' affermare che i governi stessi dovrebbero valutare la convenienza economica a rendere i metodi biologici piu' competivi. In tal senso il Worldwatch Institute propone di imporre una tassa sulle vendite dei pesticidi e, con il gettito fiscale, finanziare gli incentivi, i centri di servizio decentrato e quelli di ricerca per favorire l'adozione di queste nuove tecnologie.
D'altra parte in questa direzione puo' essere molto incoraggiante, e quindi andrebbe considerata con la dovuta attenzione, l'esperienza di molti agricoltori che, per proprie concezioni ideali di origine filosofica o ecologista, spesso con grandi sforzi di informazione e formazione e notevoli sacrifici economici iniziali, hanno abbandonato volontariamente le tecniche di coltivazione convenzionali per approdare all'"agricoltura biologica".
Secondo la definizione del Dipartimento Americano per l'agricoltura, quest'ultima e' un sistema di produzione il quale evita o largamente esclude l'uso di fertilizzanti, pesticidi, regolatori dello sviluppo, additivi zootecnici prodotti sinteticamente. Nella maggior misura possibile i sistemi di agricoltura biologica si affidano alle rotazioni colturali, ai residui colturali, alle deiezioni animali, legumi, concimi verdi, rifiuti extra-aziendali, coltivazione meccanica, amendamenti minerali tratti da rocce, ed al controllo biologico, per mantenere la produttivita' e lo strato fertile del suolo, per fornire alle piante gli elementi nutritivi e per controllare gli insetti, le malerbe ed altri agenti dannosi.(143)
Esistono comunque diverse scuole di agricoltura biologica, talvolta anche in contrasto, poiche' basano le loro tecniche culturali su principi molto diversi. Attualmente le imprese completamente "biologiche" o in via di conversione sono probabilmente un'esigua minoranza, anche se in alcuni paesi il loro numero sta crescendo, suscitando un notevole interesse.
Le produzioni ottenute in queste aziende sono mediamente inferiori del 15-20% rispetto alle produzioni convenzionali, tuttavia assicurano all'imprenditore un utile pressoche' identico grazie ai prezzi di vendita dei prodotti biologici maggiori di quelli normali e ai minori costi dei fattori di produzione.(144)
Il prezzo maggiore e' ampiamente giustificato dalla maggior qualita' del prodotto: "Il valore nutritivo degli alimenti biologici e' stato piu' volte dimostrato da ricerche anche recenti da cui risulta una presenza maggiore degli elementi nobili (sostanza secca, minerali, vitamina C, amminoacidi essenziali) e una diminuzione delle sostanze dannose (nitrati, sodio, amminoacidi liberi). Parimenti, ricerche effettuate in Germania, pongono in risalto una migliore conservabilita' e una minore perdita per lo stoccaggio dei prodotti biologici rispetto a quelli convenzionali."(145)
Nel 1980 l'USDA, il Dipartimento dell'Agricoltura degli Stati Uniti, ha pubblicato un rapporto sull' "organic farming", nel quale si evidenziano gli aspetti positivi del mantenimento della fertilita' del terreno, della prevenzione dell'erosione, del controllo dell'inquinamento dei corpi idrici. Lo stesso rapporto sottolinea come questo tipo di agricoltura non significhi il ritorno alle pratiche di inizio secolo, piuttosto un tentativo di evitare l'uso dei composti chimici di sintesi sfruttando, pero', le moderne conoscenze agronomiche. Le aziende classificate come biologiche negli USA sono state stimate circa 20.000 nel 1980.(146)
Cio' comunque che limita veramente l'agricoltura biologica e' la mancanza di conoscenze specifiche, poiche' la scarsa attenzione rivoltale dalla ricerca ufficiale comporta la necessita' per i singoli agricoltori di sperimentare in proprio.
Come rileva il Worldwatch Institute, il futuro della lotta integrata, dell'agricoltura biologica e di tutti i metodi di riduzione dell'uso dei pesticidi, per quanto promettente, e' offuscato da diversi fattori.(147)
Lo sviluppo di nuovi metodi biotecnologici e, in particolare di quelli cosidetti "innovativi" quali la manipolazione genetica, potrebbe servire sia a promuovere che a sabotare i sistemi non chimici di controllo degli organismi dannosi.
Mentre sarebbe teoricamente possibile rendere le piante piu' resistenti all'aggressione degli organismi dannosi, molte imprese biotecnologiche sono alla ricerca di metodi per renderle invece piu' resistenti ai pesticidi. In questo modo si cerca di far continuare l'uso dei prodotti chimici; non e' un caso che le multinazionali della chimica si siano lanciate ad acquistare le industrie sementiere, potendo cosi' iniziare una "vendita obbligata" di pesticidi e semi di piante resistenti ai propri prodotti.
Queste nuove tecnologie prevedono anche l'immissione nell'ambiente di alcuni batteri modificati, capaci per esempio di rendere le piante piu' resistenti al gelo o a certi insetti. Le sperimentazioni, che gia' cominciano ad essere effettuate su campi aperti, stanno suscitando grande preoccupazione per i possibili e abbastanza sconosciuti effetti sull'ambiente.
Altri timori destano le possibili conseguenze dell'uso di tali tecnologie sulla qualita' dei prodotti alimentari e quindi sulla salute dei consumatori, specialmente per le applicazioni nel settore zootecnico.
Quello della biotecnologia e' probabilmente uno dei principali campi nei quali i governi dovranno intervenire per valutarne il possibile impatto ed eventualmente impedire che logiche di breve periodo, semplicemente finalizzate al profitto, possano procurare nuovi e inaspettati danni ambientali.
Tuttavia, se l'introduzione di queste innovazioni sara' controllata attentamente, le prospettive sono certamente affascinanti. Si pensi solamente all'idea, per ora in fase di ricerca e per la quale non si prevedono sviluppi nel breve periodo, di produrre del frumento capace, come le leguminose, di autofertilizzarsi fissando l'azoto: se realizzata potrebbe consentire di ridurre o di eliminare l'uso dei nitrati.(148)

Note

Riferimenti bibliografici


Torna all'indice