CAPITOLO III - I LIMITI ALLA CRESCITA ECONOMICA ALLA LUCE DI ALCUNE ANALISI EMPIRICHE

5.1. L' "effetto serra" e i possibili effetti climatici
Le maggiori preoccupazioni relative ad una crescita dei consumi energetici basata prevalentemente sui combustibili fossili riguardano le possibili conseguenze climatiche causate dall'accumulo di CO2 (anidride carbonica) nell'atmosfera.
Per capire questo fenomeno bisogna aver ben presente il ciclo naturale, basato sulla fotosintesi, che ha determinato la formazione dell'ossigeno nell'atmosfera e la fissazione del carbonio negli organismi vegetali (83).
La fotosintesi clorofilliana e' sostanzialmente un mecca-nismo biologico attraverso il quale le piante saldano il carbonio e l'ossigeno con l'idrogeno per formare sostanze organiche nutritive (glucosio). Per far questo lavoro il vegetale utilizza energia solare, acqua (H2O) e anidride carbonica (CO2).
Dal punto di vista chimico avviene la seguente reazione:
6CO2 + 6H2O + energia ----> C6H12O6 + 6O2.
In questo modo le piante catturano nella loro biomassa l'anidride carbonica e liberano nell'atmosfera ossigeno. Esse immagazzinano nel loro corpo vegetale una scorta di zuccheri (C6H12O6), che puo' essere poi utilizzata dagli animali come fonte di energia. La sintesi del glucosio e' definita tecnicamente una "riduzione" della CO2. Il processo chimico inverso, l'ossidazione, si puo' ottenere semplicemente bruciando le piante, ma gli organismi animali lo realizzano attraverso la respirazione, nella quale avviene l'ossidazione degli zuccheri, con la libera-zione di energia, anidride carbonica e acqua.
La reazione chimica e' esattamente simmetrica a quella precedente:
C6H12O6 + 6O2 ----> energia + 6CO2 + 6H2O.
Da questo vediamo come gli animali sono in un certo senso "motori ad energia solare", energia che essi sottraggono alle piante (gli animali carnivori o "consumatori di secondo grado" non fanno altro che allungare la catena alimentare sottraendo a loro volta questa energia agli animali erbivori o "consumatori di primo grado").
La vita sul nostro pianeta, semplificando al massimo, si basa quindi su un ciclo di materia: si tratta sempre di carbonio, idrogeno, ossigeno che mutano i loro rapporti e legami.
Tutto questo non sarebbe possibile senza il flusso continuo di energia solare, che la materia vivente intrappola, utilizza e infine disperde come calore.
Questo ciclo tuttavia non e' sempre esistito e sembra proprio che qualche miliardo di anni fa non ci fosse ossigeno libero in atmosfera.
Sulla terra la vita stessa modifico' gradualmente, in milioni di anni, le condizioni ambientali in maniera tale da renderle ancora piu' favorevoli a se' stessa e a costruire un equilibrio persistente.
La concentrazione attuale di ossigeno nell'atmosfera e' circa del 21%, ma la fotosintesi sarebbe apparsa 3500 milioni di anni fa con la comparsa nei fondali marini delle cosidette "alghe azzurre" o cianobatteri.
Solo 1800 milioni di anni fa inizia pero' un vero e proprio accumulo della concentrazione di ossigeno libero, verosimilmente perche' prima e' avvenuta l'ossidazione dei minerali di superficie. Si e' calcolato che in quel perio-do l'ossigeno presente nell'atmosfera non superasse proba-bilmente lo 0,02%.
Con l'aumentare della fotosintesi si instaura comunque un processo definito dalla Laura Conti di "feed-back positivo".
La fascia di ozono, a causa della continua crescita della concentrazione di ossigeno, acquista sempre piu' con-sistenza, permettendo una diminuzione delle radiazioni ultraviolette e quindi la sopravvivenza degli organismi che il moto ondoso portava verso l'alto. In questo modo le alghe azzure trovano piu' luce e la loro attivita' foto-sintetica aumenta, incrementando ulteriormente lo spessore del mantello di ozono, e cosi' via.
Cosi' dopo circa 800 milioni di anni, cioe' approssimativamente un miliardo di anni fa, sembra che la concentrazione di ossigeno nell'atmosfera sia arrivata allo 0,2%, permettendo la comparsa di cellule nucleate, e quindi aerobie obbligate.
Circa 420-400 milioni di anni fa la concentrazione di ossigeno libero raggiunge il 2% e, poiche' a questo punto le frequenze mortali dell'ultravioletto sono tutte trattenute dal manto di ozono, gli organismi viventi possono cominciare a uscire dall'acqua e gradualmente adattarsi a vivere sulle terre emerse.
Da allora si verifica un rapido aumento della biomassa vivente e della biomassa morta e fossilizzata (giacimenti carboniferi), a cui corrisponde un aumento di velocita' di accumulo atmosferico di ossigeno libero. L'anidride carbonica viene quindi "sequestrata" nella materia vivente delle foreste o in quella che non si e' completamente decomposta, formando giacimenti carboniferi, petroliferi e metaniferi.
Con la comparsa degli animali, una parte del sistema vivente ha cominciato ad ossidare una parte del carbonio, pero' la fotosintesi ha prevalso molto a lungo sulla respirazione, permettendo una continua concentrazione di ossigeno libero nell'atmosfera e la correlativa riduzione del CO2.
In una fase successiva, iniziata probabilmente circa 200 milioni di anni fa, l'ossidazione e la riduzione dell'anidride carbonica sembra abbiano raggiunto via via una situazione di equilibrio.
Questo equilibrio che, come si e' visto, e' il frutto di milioni di anni di evoluzione, rischia oggi di essere messo in crisi per il fatto che l'uomo, bruciando le grandi riserve di combustibili fossili e depauperando il patrimonio forestale, immette nell'atmosfera nel giro di tempi relativamente molto brevi un'enorme quantita' di CO2.
La figura 2 illustra come dal 1840 al 1980 sia cresciuta ogni anno la produzione mondiale di anidride carbonica immessa nell'atmosfera.

Figura 2 - Produzione mondiale di CO2 (in milioni di tonnellate) dalla rivoluzione industriale ad oggi.
fig2.gif (29234 bytes)
Fonte: Tiezzi E. (1984).

Questo comporta gravi pericoli per il clima del nostro pianeta, date le caratteristiche peculiari di questa sostanza quale regolatrice della temperatura terrestre.
L'importanza climatica della CO2 presente nell'atmosfera dipende dalla sua particolare proprieta' di essere diversamente trasparente alle radiazioni di diversa lunghezza d'onda: trasparenza elevata per le frequenze visibili, bassa per gli infrarossi. Poiche' gran parte dell'energia solare che investe il pianeta e' nella gamma del visibile, essa attraversa senza difficolta' l'atmosfera in cui e' dispersa la CO2. La riflessione della superficie terrestre, detta comunemente "albedo", rinvia nello spazio una parte dell'energia radiante.
Affinche' la temperatura della superficie terrestre rimanga stabile, la Terra e l'atmosfera devono disperdere nello spazio cosmico tanta energia quanta ne assorbono dal Sole: solo cosi' e' assicurato l'equilibrio naturale. La Terra e l'atmosfera possono disperdere energia nello spazio soltanto emettendo radiazioni nella regione spettrale dell'infrarosso. Poiche' la CO2 e' poco trasparente all'infrarosso, a propria volta si riscalda e irragia calore verso il suolo; si forma cosi' una vera "trappola" per le radiazioni infrarosse, che sono calori-fiche, e si verifica un aumento di temperatura: e' il cosidetto effetto serra.
E' stato stimato che la superficie terrestre sarebbe piu' fredda di 30-40°C se non ci fosse questo flusso addizionale di energia, ma ovviamente le quantita' di CO2 immessa negli ultimi decenni nell'atmosfera rischia di essere eccessiva rispetto a quella necessaria per avere un clima desiderabile.
Alcuni climatologi hanno studiato le possibili conseguenze di questo fenomeno e, pur non essendo giunti a risultati univoci, molti di essi ormai concordano sulla possibilita', nel medio periodo, di un incremento della temperatura terrestre.
Molti scienziati avevano manifestato un certo ottimismo, paventando la possibilita' che gli oceani assorbissero gran parte della CO2 prodotta industrialmente, ma nel 1982 sono stati smentiti da uno studio del professor Roger Revelle, presidente dell'American Association for the Advancement of Science, il quale ha dimostrato che in realta' gli oceani assorbono CO2 con grande lentezza. Ne consegue che l'80% dell'anidride carbonica prodotta industrialmente permane nell'atmosfera e che sarebbero necessari centinaia di anni per bloccarne gli effetti negativi.
D'altra parte i dati dimostrano che questo assorbimento, nei fatti non c'e' stato. Sembra che l'anidride carbonica nella preistoria fosse presente nell'atmosfera nella quantita' di circa 200 parti per milione, nella seconda meta' dell'Ottocento era salita a 275 ppm, balzando attualmente a 345 ppm.
Negli ultimi anni sono state effettuate in tutto il mondo numerose misurazioni che hanno confermato il crescente incremento di questo gas, evidenziando che i valori piu' elevati si trovano al nord in corrispondenza dei paesi che fanno un maggior uso di combustibili fossili.
Nel 2030, secondo le proiezioni del National Center for Atmospheric Research degli U.S.A., se non verranno ridotti sensibilmente l'uso di combustibili fossili e la defo-restazione, si arrivera' a 600 ppm, con un aumento della temperatura media del pianeta fino a 4,5 gradi.
Come sottolineano Brown e Flavin nel rapporto "State of the World 1988" (84), se quattro anni fa pareva abbastanza remoto un effettivo aumento della temperatura terrestre, oggi nuovi dati indicano che il riscaldamento e' gia' in corso.
Per di piu' negli ultimi anni gli studiosi sono giunti alla conclusione che ad un simile riscaldamento contribuiscano svariati altri gas, tra cui i clorofluorocarburi, l'ossido di azoto e il metano.
A far alzare ulteriormente la temperatura, oltre all'effetto serra provocato dalla CO2 e da altri gas, sembra poi aggiungersi lo sfaldamento della fascia di ozono che filtra i raggi ultravioletti provenienti dal sole. Alcuni rilevamenti, compiuti dalla NASA, hanno rivelato che l'assottigliamento della fascia di ozono non riguarda solo il continente antartico, giunto agli onori della cronaca per l'ormai famoso "buco", ma tutto il pianeta.
Sembra che dal 1970 ad oggi questo gas sia diminuito complessivamente dell'1-2%, con punte locali del 3%-4%.
La NASA ha previsto che entro la fine del secolo la fascia che protegge la terra potrebbe impoverirsi del 10%. Questo comportebbe un incremento della radiazione ultravioletta sul nostro pianeta, causando un aumento di tumori alla pelle e danni, non ancora ben conosciuti, per l'agricoltura e gli ecosistemi acquatici.
La maggioranza degli scienziati ritiene che i principali responsabili di questo fenomeno siano i cosidetti Clorofluorocarburi (Cfc), presenti negli impianti di refrigerazione, negli imballaggi a schiuma espansa, negli spray e in altri prodotti. I Cfc innescano una reazione chimica in grado di distruggere l'ozono presente nella stratosfera.
Le misure prese recentemente da molti paesi industrializzati per ridurre l'uso di tali gas rischiano di non essere abbastanza efficaci poiche' molti paesi, tra i quali alcuni di recente industrializzazione, non sembrano molto propensi a prendere provvedimenti in tal senso. Comunque bisogna ricordare che su questo argomento non ci sono pareri concordi neppure negli ambienti scientifici.
Esiste quindi un serio pericolo che l'effetto serra, e probabilmente anche l'assottigliamento della fascia d'ozono comportino, nel giro di qualche decennio, la rottura di equilibri climatici ormai consolidati.
Gli ecologi sottolineano come storicamente siano gia' avvenute grandi mutazioni climatiche che hanno piu' volte alterato sensibilmente gli equilibri dell'ecosistema terrestre. Comunque queste variazioni avvenivano in maniera estremamente lenta e, in molte migliaia di anni, l'evolu-zione biologica seguiva con pari lentezza l'ambiente cambiato.
Le fluttuazioni climatiche di breve periodo, come quella avvenuta tra il 1550 e il 1850 e denominata "piccola era glaciale", sono sempre state di lieve entita' (minori di 1/10 di grado per decade). La differenza fra la tempe-ratura media nella piccola era glaciale ed oggi e' stata stimata di circa un grado centigrado.
Rispetto alle grandi ma lentissime fluttuazioni climatiche della storia, un eventuale riscaldamento di 3 o 4 gradi centigradi in tempi relativamente brevi non puo' certamente corrispondere ai lunghi tempi biologici di adattamento dell'ecosistema ed e' quindi molto difficile prevederne le conseguenze.
Il Worldwatch Institute nel suo rapporto del 1988 (85) ha abbozzato qualche previsione, prendendo come riferimento alcuni modelli climatologici che prevedono tra il 2030 e il 2050 un aumento generalizzato della temperatura compreso tra 1,5 e 4,5 gradi.
Innanzitutto sembra che l'aumento della temperatura non si verificherebbe in modo uniforme, ma in misura minore all'equatore e in maniera piu' grave a latitudini supe-riori, ove potrebbe facilmente raggiungere il doppio del valore medio previsto per il pianeta nel suo complesso.
I mutamenti delle correnti oceaniche potrebbero invece rendere piu' fredde altre regioni, tra cui l'Europa settentrionale.
Gli effetti piu' gravi di un tale mutamento climatico si avrebbero sull'agricoltura e sul livello del mare.
Alcune tra le piu' floride regioni agricole, come quelle della fascia centrale dell'America Settentrionale e le aree cerealicole dell'Unione Sovietica, subirebbero una riduzione dell'umidita' del suolo durante la fase estiva di maturazione dei raccolti, in conseguenza di un'accellerazione dei ritmi di evaporazione.
Grandi aree diverrebbero quindi incolte o potrebbero, tutt'al piu' produrre cereali resistenti alla siccita' e dotati di rese piu' scarse. La fascia del frumento inver-nale si sposterebbe comunque verso nord, consentendo in tal modo di coltivare zone piu' settentrionali.
Il costo piu' gravoso per l'agricoltura mondiale sarebbe quello dipendente dall'adeguamento dei sistemi di irrigazione e drenaggio, che potrebbero rivelarsi di volta in volta superflui o inadeguati al mutare della temperatura e dei modelli di piovosita'.
L'aumento del livello del mare e' il fenomeno piu' preve-dibile, poiche' l'innalzamento della temperatura comporte-rerebbe lo scioglimento di parte dell'acqua oggi presente in forma solida nei ghiacciai e nelle calotte polari. L'Environmental Protection Agency degli Stati Uniti ha stimato un aumento del livello del mare compreso tra 1,4 e 2,2 metri entro l'anno 2100.
Le conseguenze piu' gravi si avrebbero soprattutto in Asia, dove si coltiva il riso sui bassi delta fluviali e su terreni alluvionali poco elevati. Molte citta' costiere sarebbero minacciate, tanto che si dovrebbe decidere se abbandonarle o stanziare imponenti capitali nella costruzione di dighe.
Infine, neppure la ricchezza biologica del pianeta ne uscirebbe indenne, poiche' il carattere repentino del fenomeno avrebbe la meglio sulla capacita' di adattamento di molte specie.
Il professor Sandro Pignatti, docente di botanica all'Universita' di Roma, in un'intervista alla rivista La Nuova Ecologia sostiene, per esempio, che tutta le vegetazione italiana, agricola e non, ne sarebbe irreparabilmente sconvolta (86).
Nel "rapporto Brundtland" si conclude: "Impossibile stabilire tutto cio' che avverra' finche' non si verifi-chera' davvero. La questione fondamentale e': quale grado di certezza esigono i governi prima di intraprendere iniziative concrete? Se aspettano finche' si abbia la riprova di significativi cambiamenti climatici, puo' darsi che sia troppo tardi per organizzare misure efficaci contro l'inerzia che ormai si sarebbe instaurata nel grande sistema globale. I tempi lunghissimi che occorrono per negoziare accordi internazionali relativi a questioni complesse riguardanti tutti i paesi hanno indotto alcuni esperti a concludere che e' gia' troppo tardi."(87)
Tuttavia, in tale rapporto, si sottolinea come la diffusione atmosferica globale di anidride carbonica potrebbe essere significativamente ridotta con il ricorso a misure che migliorino il rendimento energetico, senza che il ritmo di crescita del PIL subisca riduzioni.
Uno scenario a basso consumo energetico, sulle pos-sibilita' del quale si disquisira' nel prossimo paragrafo, e' comunque visto in genere come una risposta nel breve periodo, data la speranza che si possa in un piu' lontano futuro disporre di energia pulita illimitata dalla fusione nucleare o al limite dalla fissione resa piu' sicura da tecnologie piu' avanzate.
Certamente, ammesso che cio' sia possibile, l'avvento di una tale forma di energia, che non immette nell'atmosfera CO2, potrebbe risolvere molti problemi.
Tuttavia, prendendo spunto dalle riflessioni di alcuni ecologisti, quali ad esempio Laura Conti ed Enzo Tiezzi (88), si puo' ritenere fondata l'ipotesi che, se i consumi energetici continuassero in seguito a crescere senza limiti, si ripresenterebbero prima o poi gli stessi pericoli di riscaldamento globale, dovuti questa volta alla produzione di calore e all'immissione di vapor acqueo nell'atmosfera.
La produzione antropica di calore dovuta alle trasforma-zioni energetiche costituisce oggi una frazione minima del calore di origine solare, del quale e' circa 1/16.000.
Quel che conta e' pero' il rapporto quantitativo tra il calore di origine antropica e la piu' piccola variazione di origine solare che sia capace di provocare effetti dannosi. Laura Conti sostiene che gravi danni si verificherebbero gia' ad un aumento dell'1% del calore di origine solare.
Questo significa che, in base a questo solo calcolo, si potrebbero avere seri problemi ove la produzione energetica si moltiplicasse per 160 rispetto a quella attuale, ipotesi probabilmente irrealistica, ma non del tutto se si pensa che le popolazioni del terzo mondo vorranno in futuro adeguare i loro consumi a quelli dei paesi piu' ricchi.
Non si e' pero' considerato un altro fattore: sembra che l'immissione di vapor acqueo nell'atmosfera abbia effetti simili a quelli del CO2 provocando il cosidetto "effetto serra", poiche' anch'esso assorbe la radiazione infrarossa di ritorno.
Scrive Laura Conti: "Il vapore acqueo non e' accumulabile nell'atmosfera come lo e' l'anidride carbonica, in quanto puo' condensarsi in pioggia; pero' e' temibile in quanto - a differenza dell'anidride carbonica - e' legato agli aumenti di temperatura da una retroazione positiva: l'incremento di temperatura fa aumentare la presenza di vapore acqueo nell'atmosfera; ne viene aumentato l'effetto serra, che fa aumentare la temperatura. L'effetto serra generato per questa via dalla produzione antropica di calore non e' stato ancora calcolato (...)"(89)
Questo fa pensare che, nel lungo andare, esistono dei limiti alla crescita dei consumi energetici, non tanto per mancanza di risorse, quanto per questioni climatico-ambientali, a meno che non si sviluppino tecnologie avanzate in grado di sfruttare adeguatamente l'energia solare.
Quest'ultima infatti e' l'unica fonte energetica il cui utilizzo puo' non aggiungere calore a quello che si produce per fenomeni naturali, poiche' comunque l'energia solare che investe il nostro pianeta si trasforma in gran parte in calore.

Note

Riferimenti bibliografici


Torna all'indice