CAPITOLO III - I LIMITI ALLA CRESCITA ECONOMICA ALLA LUCE DI ALCUNE ANALISI EMPIRICHE

3. L'esaurimento delle risorse non-rinnovabili e il problema energetico.
Nell'affrontare la questione della disponibilita' di risorse non rinnovabili quale vincolo allo sviluppo e' opportuno chiarire il significato dei due termini piu' usati: "risorse" e "riserve".
In generale, per riserve si intende la quantita' stimata di risorse economicamente sfruttabili con le attuali tecnologie e per risorse la somma delle prime e di tutte le sostanze minerali che potrebbero diventare recuperabili in condizioni economiche piu' favorevoli. La differenziazione si basa quindi sul grado di sicurezza riguardo la loro esistenza e consistenza e sulle possibilita' di sfruttamento, che dipendono sia dalla tecnologia che da condizioni economiche. (27)
I dati riportati dallo studio del M.I.T., come gia' sottolineato, si basano su stime delle "riserve attualmente conosciute, situate in depositi economicamente sfruttabili secondo i prezzi e le tecnologie attuali".(28)
Generalmente per esprimere un giudizio sull'adeguatezza delle riserve dei diversi minerali si calcola il rapporto tra le entita' accertate e il consumo annuo. Tale indice evidenzia il numero di anni durante i quali queste materie saranno disponibili, ma non sembra tuttavia appropriato per esprimere giudizi pessimistici sulla data in cui una determinata risorsa sara' totalmente esaurita. Infatti, poiche' esso viene calcolato sulle riserve, e' un dato destinato a variare nel tempo.
"Guardando alle serie storiche, si nota come questi rapporti non solo non siano diminuiti, ma addirittura considerevolmente aumentati. Questo andamento e' spiegato dal fatto che le riserve sono una variabile incerta, la cui entita' dipende da nuove scoperte, dal progresso tecnico, o da cambiamenti sia nel prezzo della risorsa sia dei fattori richiesti nel processo di sfruttamento"(29).
Inoltre, poiche' l'accertamento delle riserve e' un'operazione molto costosa, nella prassi mineraria corrente, viene mantenuta al livello minimo richiesto per avviare un'attivita' o garantire il proseguimento di quelle in corso (30).
Per queste ragioni sono stati proposti altri criteri per poter valutare le reali disponibilita' delle risorse.
Nordhaus (31) propone di mettere a confronto tre diversi indici. Il rapporto tra riserve e consumo annuo (R/C) puo' essere confrontato con il rapporto tra elementi presenti nell'intera crosta terrestre e consumo annuo (CA/C).
In questo caso, come si puo' osservare nella tabella 1, la disponibilita' di risorse passa da qualche decennio a milioni di anni.

Tabella 1 - Disponibilita` di alcuni importanti minerali secondo tre misure.

Minerale R/C URR/C CA/C
Carbone

2.736

5.119

na

Rame

45

340

242.000.000

Ferro

117

2.657

1.815.000.000

Fosforo

481

1.601

870.000.000

Molibdeno

65

630

422.000.000

Piombo

10

162

85.000.000

Zinco

21

618

409.000.000

Zolfo

30

6.897

na

Uranio

50

8.455

1.855.000.000

Alluminio

23

68.066

38.500.000.000

Oro

9

102

57.000.000

Fonte: Geological Survey (1973), in Statistical Abstract.
R/C = Riserve conosciute / Consumo annuale
URR/C = Risorse potenziali / Consumo annuale
CA/C = Risorse della crosta terrestre / Consumo annuale

Evidentemente quest'ultimo dato, come ammette lo stesso Nordhaus, e' molto ottimistico, perche' si basa sull'ipotesi irrealistica che tutto possa essere estratto.
Egli propone cosi' una misura intermedia, che consiste nel rapporto tra le risorse potenziali e il consumo annuo (URR/C). Questo indice, secondo Nordhaus, e' il piu' incerto perche' necessita di stime sui prezzi e sulle tecnologie del futuro.
In prima approssimazione viene indicato quello elaborato dall'U.S. Geological Survey, che ha pubblicato stime delle riserve e risorse negli Stati Uniti e nel mondo che comprendono anche i giacimenti sub-economici e quelli ipotetici. In un modello econometrico l'U.S. Geological Survey ha considerato come risorse potenziali lo 0,01% delle disponibilita' totali fino ad un chilometro di profondita'(32).

In questa prospettiva le proiezioni, come si puo' notare sempre dalla tabella 1, appaiono quindi molto piu' ottimistiche rispetto a quelle basate sulle semplici riserve accertate.
In generale, al di la' dei diversi studi geologici sulle risorse, basati sulla stima teorica della concentrazione di minerali nella crosta terrestre, risulta abbastanza evidente che "l'orizzonte di riferimento per una strategia di approvvigionamento minimamente realistica e' inquadrato piu' sulla ricerca e l'identificazione delle risorse che non su un quadro limitato alle riserve gia' note." (33)
D'altra parte, come evidenziato dalla Pellizzari (34), non ci si deve basare solo su dati che dipendono dalla misurazione fisica delle risorse, quando cio' che piu' interessa e' stabilire in quale epoca non sara' piu' economicamente conveniente sfruttarle.
Per cio' occorre considerare anche altri contributi, che tengano in maggior conto alcune variabili economiche, quali il costo dello sfruttamento e i prezzi.
Tra gli studi effettuati viene spesso citato quello di Barnett e Morse (35), che evidenziano come i prezzi e i costi di sfruttamento, nel periodo che va dal 1870 al 1957 negli Stati Uniti, siano diminuiti per quasi tutti i prodotti dell'industria estrattiva. Essi quindi arrivano alla conclusione che il progresso tecnico e le economie di scala hanno permesso, nel periodo preso in esame, di contrastare gli effetti della scarsita'.
Anche Nordhaus (36), giunge alle medesime conclusioni analizzando l'andamento dei prezzi di alcuni minerali in rapporto al costo del lavoro, nel periodo 1900-1970, e notando una consistente riduzione.
Altri autori, come Jorgenson e Griliches (37), giungono invece alla conclusione opposta deflazionando tali prezzi con un indice del costo del capitale, anziche' del lavoro.
Tutti gli studi fin ora citati appaiono comunque abbastanza datati ed in essi non vengono considerati i crescenti costi ambientali.
A parere della Pellizzari l'utilizzo di indici quali il costo dello sfruttamento e il prezzo, oltre a presentare entrambi molti limiti (38), non considerano i costi di preservazione dell'ambiente. "Se e' vero infatti, che i costi di sfruttamento delle risorse naturali sono molto spesso diminuiti e' anche vero che i costi di preservazione dell'ambiente sono aumentati. Bisognerebbe tener conto anche di questo per formulare un giudizio avveduto sulla scarsita' delle risorse".
Si puo' ben sperare comunque che alcuni fattori, che hanno agito nel passato, contribuiscano anche in futuro a contrastare la scarsita' delle risorse, diminuendo i costi di estrazione e tenendo relativamente bassi i prezzi delle materie prime.
Oltre alla scoperta di nuovi giacimenti, un ruolo preminente puo' essere attribuito allo sviluppo di nuove tecnologie (39).
Il miglioramento delle tecniche di estrazione e di lavorazione delle risorse minerarie puo' permettere lo sfruttamento di depositi minerari a basso tenore di metallo, portando a considerare riserve depositi oggi relegati a livello di risorse.
A tale proposito la tecnologia puo' anche estendere lo sfruttamento a depositi minerari non convenzionali, come quelli sottomarini o quelli presenti nel continente antartico. Nei fondali marini, per esempio, sono state identificate vaste zone ricche di noduli di manganese, che contengono oltre a questo minerale anche rame, nichel e cobalto.
Lo sviluppo di tecniche di riciclaggio, consente oltre a notevoli risparmi energetici, di riutilizzare materie prime che altrimenti andrebbero disperse nell'ambiente. Scrive a tale proposito il Cottrel: "Il riciclaggio e' prevalentemente un'attivita' ad alta intensita' di lavoro, che non richiede quindi molta energia. Per questo motivo ha sempre trovato uno dei maggiori ostacoli nell'elevato e crescente costo del lavoro. Se l'energia ed il capitale diventassero relativamente scarsi, in futuro il riciclaggio potrebbe essere economicamente piu' vantaggioso."(40)
Bisogna comunque specificare che non tutti i materiali sono facilmente riciclabili, poiche' molti vengono usati in modo tale da disperdersi in piccole particelle, e che inoltre il riciclo, basandosi su cio' che rimane dei processi precedenti, permette di recuperare quantita' sempre minori del materiale originale.
Fattori tecnologici, o piu' semplicemente economici, possono rendere conveniente la sostituzione di un materiale con un altro, poiche' cio' che l'utilizzatore richiede sono delle proprieta' e non un materiale in quanto tale.
Sembra comunque che vi siano alcuni limiti fondamentali anche per la sostituzione, poiche' alcune sostanze sembrano avere delle proprieta' eccezionali non facilmente ritrovabili in altre (41).
Se alcune di queste diventassero molto scarse o costose, sostiene il Cottrel, la legge economica secondo cui apparirebbe inevitabilmente un suo sostituto, potrebbe scontrarsi con l'inadeguatezza tecnologica dell'uomo. Inoltre, egli sostiene, la sostituzione di un materiale con un altro non fa che aumentare la domanda di quest'ultimo, la cui offerta puo' essere anch'essa limitata.
Infine la dinamica tecnologica puo' rendere possibile un uso piu' economico dei materiali, sia nei processi di produzione con un aumento dell'efficienza tale che a parita' di input si abbiano sempre maggiori output, sia a livello di consumo con materiali e prodotti piu' resistenti e durevoli.
Il Cottrel sottolinea come questi fattori tecnologici abbiano contribuito sino ad ora a mantenere i prezzi delle materie prime abbastanza stabili. Certamente questo potrebbe accadere anche in futuro, ma a condizione che il problema energetico e quello ambientale non presentino nel lungo periodo un limite determinante.
Appurato che il nostro pianeta contiene grandi risorse di minerali e che, al limite, alcune si potrebbero estrarre da giacimenti molto poveri, frantumando le roccie o addirittura, superati alcuni problemi tecnici, utilizzando l'acqua del mare, resta il fatto che tutto questo potrebbe esser fatto solo a condizione di disporre di fonti abbondanti ed economiche di energia. In definitiva il Cottrel afferma che e' molto probabile che l'energia diventi progressivamente l'elemento determinante nell'offerta delle materie.
Bisogna inoltre considerare che "i problemi ambientali saranno probabilmente notevoli, perche' le tecnologie d'estrazione piu' avanzate si occupano principalmente dello sfruttamento a cielo aperto di depositi molto poveri, il che significa che vaste zone di territorio saranno perforate e si verranno a creare grandi accumuli di residui".(42)
Poiche', comunque, la questione ambientale nel suo complesso sara' esaminata nel paragrafo 5., sembra opportuno per ora soffermarci sul problema energetico.
Nel "Rapporto Brundtland" si afferma che nel 1980 il consumo globale di energia si aggirava sui 10 TW (43). Si veda la tabella 2, per quello che riguarda la ripartizione tra le diverse fonti energetiche. Il consumo pro capite di energia variava, nello stesso anno, dai 0,08 kw nei paesi piu' poveri dell'Africa subsahariana, ai 7,01 kw dei paesi industrializzati ad economia di mercato.(44)

Tabella 2 - Utilizzo di fonti energetiche primarie nel mondo nel 1980 (struttura %)

   comb.
fossili  
elettr.   biomassa   totale
P.i. (7 Twa)  

86,0  

12,0   2,0   100
P.v.s. (3,3 Twa)  

48,0  

4,0   48,0   100
Mondo (10,3 Twa)  

78,2  

7,6   14,2   100

 

Mondo (10,3 Twa)   Petrolio   39,6
   Carbone   22,6
   Gas naturale   16,0
   Idroelettrico   5,7
   Nucleare   1,9
   Biomassa   14,2

P.i. = Paesi industrializzati
P.v.s. = Paesi in via di sviluppo
Fonte: AA.VV. (1987), "Rassegna Petrolifera", pag. 704

Per quello che riguarda le previsioni sui consumi energetici futuri, queste dipendono dalle diverse ipotesi effettuate relativamente all'andamento dello sviluppo economico mondiale e, in secondo luogo, dalla relazione che si pensa sussistere tra crescita economica ed energia utilizzata.
Nel rapporto appena citato si calcola che, se l'uso pro capite rimanesse agli stessi livelli odierni e se nel 2025 ci fosse una popolazione di circa 8 miliardi di individui, vi sarebbe bisogno di circa 14 TW di energia, con un aumento del 40% rispetto al 1980. Questa impostazione pero' non tiene conto del possibile sviluppo economico dei paesi oggi piu' arretrati. Se il consumo di energia pro capite in tutto il mondo raggiungesse invece gli attuali livelli dei paesi industrializzati, nel 2025 la stessa popolazione richiederebbe ben 55 TW di energia.
Questi calcoli tuttavia, come si avverte nello stesso "rapporto Brundtland", sono probabilmente poco realistici, poiche' diversi fattori tecnici, economici e ambientali possono influenzare la situazione, realizzando scenari intermedi.
Nel Rapporto del Comitato consultivo per l'energia presentato alla Commissione mondiale per l'ambiente e lo sviluppo delle Nazioni Unite (redattrice a sua volta del "Rapporto Brundtland"), e' stato fatto un confronto tra uno scenario ad alto consumo, elaborato nel 1981 dall'IIASA (45), e un'altro a basso consumo elaborato piu' recentemente da un gruppo internazionale di analisti energetici (46). A tale proposito i relatori del rapporto precisano che queste non sono delle predizioni, ma piuttosto delle proiezioni basate su ipotesi diverse in relazione alle politiche adottate e sugli aumenti di produttivita' dell'energia.
Lo scenario ad alto consumo dipinto dall'IIASA ipotizza una crescita economica mondiale ad un tasso medio del 2,1%. Senza aumenti dell'efficienza energetica, ma al contrario calando quest'ultima ad un tasso dell'1,0% all'anno, esso prevede per l'anno 2000 un consumo globale di energia triplicato rispetto ai livelli del 1980.
Lo studio di Goldenberg e altri prevede invece una caduta del 50% nel consumo energetico pro-capite dei paesi industrializzati e un aumento soltanto del 30% nei paesi in via di sviluppo. In questa ipotesi si avrebbe un aumento del solo 10% nel consumo totale di energia fino all'anno 2020. Si sostiene che questa cifra e' compatibile con tassi di crescita simili a quelli del primo scenario, ma dovrebbero essere raggiunti e mantenuti per il 2020 dai paesi industrializzati e da quelli in via di sviluppo degli aumenti annuali medi di efficienza energetica rispettivamente del 3,3% e del 2,7%. Secondo il Comitato consultivo per l'energia tali risultati sarebbero tecnicamente possibili solo con alti ritmi di adozione di tecnologie e processi di rendimento energetico.
Alla base di queste proiezioni viene quindi posta l'ipotesi che, perlomeno a certi livelli di industrializzazione, non sussista piu' necessariamente una correlazione tra crescita dei consumi energetici e sviluppo economico. Nel rapporto si rileva come "Nei paesi industrializzati la strettissima interconnessione tra energia e sviluppo e' stata decisamente superata durante lo scorso decennio. La componente energetica della crescita e' scesa in diversi paesi, in alcuni tra 1,2 e 0,3 unita' con notevoli vantaggi nel rendimento e nella competitivita' complessivi e concrete riduzioni dei costi per i danni provocati all'ambiente".(47)
Nel paragrafo 6, descrivendo successi e prospettive nel campo dell'efficienza energetica, si notera' come siano abbastanza fondate le convinzioni di coloro che cominciano a parlare di una crescente "dematerializzazione" delle economie piu' avanzate, non riferendosi solamente all'aumento relativo del settore terziario.
Tuttavia questa spinta ad una maggior efficienza energetica, come quella volta alla ricerca di energie alternative ai combustibili fossili, deriva probabilmente dall'aumento dei prezzi petroliferi, registratosi a partire dagli anni Settanta. Il maggior costo dell'energia ha incentivato la ricerca e l'attuazione di misure per contenere i consumi e per sviluppare nuove fonti energetiche.
Piu' recentemente, a partire dall'inizio degli anni Ottanta, il prezzo del petrolio ha subito notevoli ribassi e quindi, come si sottolinea da piu' parti (48), l'incentivo economico al miglioramento dell'efficienza energetica e ai programmi di energia rinnovabile e' venuto a mancare.
Si pensi che, come ricorda il Comitato consultivo sull'energia, molte imprese che operavano nel campo delle energie rinnovabili e della conservazione sono fallite.
Il protrarsi di questa situazione rendera' molto probabilmente l'economia mondiale sempre piu' dipendente dall'uso del petrolio, con notevoli rischi di frenare lo sviluppo economico e di provocare situazioni di grave instabilita' politica, in corrispondenza di aumenti futuri dei prezzi che, per la scarsita' crescente di tale risorsa, appaiono abbastanza certi.
Nel "Rapporto Brundtland" si afferma: "Stando a molte previsioni relative a riserve e risorse petrolifere di futuro rinvenimento, la produzione di greggio nei primi decenni del prossimo secolo si stabilizzerebbe per poi gradualmente diminuire e provocare un periodo di forniture e prezzi in aumento."(49)
Questo dovrebbe indurre tutti i governi ad impegnarsi immediatamente in una vigorosa politica di conservazione delle risorse petrolifere.
Tuttavia, poiche' le riserve di altri combustibili fossili, quali il carbone e il gas naturale, sembrano essere molto piu' ingenti, questo porta altri esperti a non enfatizzare il problema della dipendenza petrolifera e a dipingere scenari futuri basati su una continua crescita nel consumo di queste risorse.
Illustrando le previsioni dell'IIASA, Wolfgang Sassin scrive: "Poiche' sembra che le risorse mondiali di combustibili fossili recuperabili siano molto ingenti, i paesi industrializzati potrebbero, in linea di principio, avere disponibilita' di energia sufficiente per oltre un secolo, anche se le nazioni in via di sviluppo passassero gradualmente alla realizzazione di moderne infrastrutture tecnologiche e consumassero una quota maggiore di queste disponibilita'."(50)
Dalle proiezioni dell'IIASA emerge infatti l'indicazione che i possibili scenari per i prossimi quarant'anni saranno ancora dominati dal consumo di combustibili fossili. Il consumo di petrolio, destinato a salire, sara' coperto oltre che dallo sfruttamento di vecchie e nuove riserve convenzionali, dal ricorso a forme non convenzionali quali le sabbie e gli scisti bituminosi, greggi pesanti, ecc. Crescera' anche il consumo di gas naturale, ma in particolar modo quello di carbone, sviluppando tecnologie di liquefazione per ottenere combustibili liquidi.
Secondo queste proiezioni dell'IIASA il ricorso al nucleare dovrebbe registrare un notevole incremento, mentre altre fonti, come l'idroelettrico, il solare e altre forme di energia primaria come la biomassa dovrebbero giocare invece, nel complesso, un ruolo del tutto secondario.(51)
Il Comitato consultivo per l'energia sottolinea che, tra gli estremi ipotizzati nei due scenari analizzati, e' abbastanza ragionevole presumere l'avverarsi di una situazione intermedia. Tuttavia, date le implicazioni a livello economico, ambientale e di sviluppo sostiene che le nazioni del mondo dovrebbero tendere a un futuro con un minor consumo possibile.
Per quello che riguarda l'approvigionamento energetico, le implicazioni in caso di alto consumo, secondo il Comitato sono "sconcertanti": "Entro il 2020 il petrolio e il gas naturale dovranno essere prodotti ad un ritmo quasi doppio rispetto al 1980, mentre la produzione di carbone dovra' aumentare di un fattore 1,8. (Da notare che persino lo stesso consumo di petrolio del 1980, se portato avanti fino al 2020, richiederebbe la scoperta del 20% in piu' sulle riserve provate rispetto a quelle esistenti nel 1985). Inoltre entro il 2020 dovrebbero essere installati piu' di 6 Tw di potenza nucleare, per un aumento pari al 3.000% rispetto al 1983. Questo significherebbe mettere in funzione circa 150 grandi reattori nucleari da 1 GWe all'anno. Le riserve esistenti riuscirebbero a coprire il fabbisogno di gas naturale e carbone, ma c'e' da dubitare che le infrastrutture necessarie per l'estrazione, il trasporto e la conversione di questi combustibili possano essere sviluppate in questo breve periodo in tutti i paesi interessati"(52).
Grandi perplessita' si sollevano, ormai da piu' parti, sulla possibilita' di incrementare l'uso dell'energia nucleare. Per quello che riguarda le centrali a fissione, dopo l'incidente di Cernobyl e i timori suscitati in tutto il mondo, e' sempre piu' difficile per i governi dei paesi democratici non tener conto della forte opposizione a tali impianti.
"Nell'intero pianeta problemi di sicurezza, di costi, di proliferazione hanno bloccato lo sviluppo del nucleare che, secondo l'Enea, non superera' alla fine del secolo, nonostante gli enormi investimenti effettuati, il livello del 5,7% del fabbisogno mondiale di energia"(53).
Mattioli e Scalia (54) sottolineano che se la produzione di energia nucleare, secondo le piu' accreditate proiezioni al 2000, dovesse per davvero coprire un fabbisogno dell'ordine di 500 Mtep, le riserve operative di uranio garantirebbero una sola generazione di centrali nucleari, a meno di non ricorrere ai reattori veloci.
Quest'ultimi, detti anche reattori autofertilizzanti o "breeder", funzionano ad uranio e producono plutonio ed energia. "Si valuta che tenendo conto delle perdite durante il processo di separazione, si possa arrivare, in questo modo, a sfruttare circa il 60% dell'uranio disponibile all'inizio del ciclo: cio' equivarrebbe a moltiplicare per 60 le riserve di uranio disponibili (...)"(55). D'altra parte sembrerebbe che tali impianti, oltre a presentare certi inconvenienti tecnici, siano a parere dei suoi oppositori ancora piu' pericolosi di quelli convenzionali: "(...) sono inaccetabili anche le piu' prudenti valutazioni di rischio appena "maggiori di zero": l'energia che libererebbe un reattore veloce in caso di incidente grave potrebbe infatti avere conseguenze catastrofiche tali da far impallidire il solo ricordo di Chernobyl. Anche i problemi "convenzionali" (tecnologia del sodio) legati ai reattori veloci presentano difficolta' che sono state finora sempre sottostimate (vedi l'incidente a Spx). Infine l'opzione veloci porterebbe ad una "economia del plutonio" con rischi politici (trasporto e stoccaggio), militari (proliferazione nucleare) ed etici (tempi di dimezzamento ancora tutti da valutare."(56)
Per quello che riguarda l'energia da fusione e' ormai evidente che siamo ancora alle soglie della dimostrabilita' che essa sia fattibile in laboratorio, sia con il confinamento inerziale, sia con il confinamento magnetico, per non parlare della "fusione fredda", della quale si parla recentemente. Anche se si giungesse al piu' presto a risultati concreti nella ricerca scientifica, poiche' la lunga catena tecnologica che va dalla scoperta e dal prototipo commerciale alla commercializzazione non e' mai inferiore ai 30-40 anni, sembra improbabile il ricorso a questa fonte, che si suppone praticamente illimitata, almeno prima del 2030. Inoltre, non e' ancora molto chiaro se si tratti effettivamente, come molti affermano, di un'energia "pulita"(57).
Per quello che riguarda le energie rinnovabili alcune, e cioe' il legname (biomassa) e l'idroelettrico, come risulta dai dati illustrati nella tabella 2, rappresentano gia' una buona parte dei consumi energetici mondiali. Come si vedra' nel paragrafo 6 esse possono essere ulteriormente sviluppate, prendendo tuttavia certe precauzioni per garantirne la riproducibilita'.
Fonti energetiche quali il solare, l'eolico, altre forme di biomassa (diverse dal legname) e l'energia geotermica, data la scarsa attenzione che ricevono da molti governi, e' probabile che per i prossimi decenni siano destinate a dare un contributo ancora del tutto marginale, che potrebbe comunque risultare importante nello sforzo di ridurre al minimo l'uso di tecnologie inquinanti. Si vedra' nel paragrafo 6 che alcune di queste tecnologie sono oggi sufficientemente mature e che la loro adozione potrebbe essere maggiormente incentivata.
A meno che non si orienti la politica energetica verso aumenti dell'efficienza e verso lo sviluppo di energie rinnovabili, sembra comunque molto probabile che la realizzazione di uno scenario ad alto consumo energetico sarebbe destinata scontrarsi, in definitiva, con problemi notevoli per la costruzione e l'avvio degli impianti e delle infrastrutture necessarie.
Come sottolineato dal Comitato consultivo per l'energia, si avrebbero anche tutta una serie di problemi economici ragguardevoli. Gli investimenti richiesti sarebbero tali da essere mal sopportabili per gli stessi paesi industrializzati e, stornati da altri settori, renderebbero impossibile un miglioramento degli standard di vita nei paesi in via di sviluppo.
Ma poiche' per il prossimo futuro, in questo scenario ad alto consumo, sembra inevitabile il prevalente ricorso ai combustibili fossili e a tecnologie nucleari, le conseguenze che piu' preoccupano riguardano l'ambiente e sono tali, come vedremo nel paragrafo 5, da far pensare a dei veri e propri limiti allo sviluppo dettati dalla incapacita' della biosfera di sopportare un tale ritmo di consumi energetici.
Se nel lontano futuro sara' probabilmente possibile produrre energia da fonti rinnovabili e pulite, in quello piu' prossimo che si puo' forse definire come un periodo di transizione, il problema energetico potrebbe quindi farsi sentire quale un pesante vincolo allo sviluppo economico mondiale.

Note

Riferimenti bibliografici


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